Che cosa sono le sostanze perfluroalchiliche (PFAS)
Le sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sono composti chimici prodotti dall’uomo e pertanto non presenti naturalmente nell’ambiente, costituiti da catene fluorurate di un numero variabile di atomi di carbonio.
I PFAS, per la presenza del legame tra carbonio e fluoro, hanno stabilità chimica e termica e sono impermeabili all’acqua e ai grassi. Grazie a tali caratteristiche i PFAS sono utilizzati per fornire proprietà repellenti a acqua, olio e per aumentare la resistenza alle alte temperature di tessuti, tappeti e pellami; per produrre rivestimenti impermeabili per piatti di carta, padelle antiaderenti e imballaggi alimentari, e come coadiuvanti tecnologici nella produzione di fluoropolimeri (es. politetrafluoroetilene – PTFE o “Teflon”, componenti del “Goretex”). Sono utilizzati anche in cromatura, nelle schiume antincendio e in molte altre applicazioni. Per molti anni i PFAS più utilizzati sono stati quelli a 8 atomi di carbonio come PFOS (perfluorootaansulfonato) e PFOA (acido perfluoroottanoico). A causa della loro persistenza ambientale e alla possibilità di accumularsi negli organismi dove permangono per periodi prolungati, dagli anni 2000 alcune ditte produttrici hanno previsto l’interruzione della produzione e la sostituzione di PFOA e PFOS con PFAS a catena più corta (6 o 4 atomi di carbonio) tra cui: l’acido perfluorobutanoico (PFBA), l’acido perfluoroesanoico (PFHxA), e l’acido perfluorobutan-sulfonico (PFBS), che nelle applicazioni industriali hanno proprietà simili a PFOS e PFOA, pur essendo meno efficienti.
Dove si trovano i PFAS
In seguito al rilascio durante la fabbricazione, l’uso e lo smaltimento dei prodotti che li contengono, PFOA e PFOS, essendo chimicamente stabili nell’ambiente e resistenti ai tipici processi di degradazione, sono persistenti e presenti sia nel suolo sia nell’aria, dove possono rimanere per giorni ed essere trasportati prima di cadere sul suolo. Qui essi si muovono facilmente attraverso terreni sotterranei, dove possono percorrere lunghe distanze e contaminare le acque superficiali e sotterranee. I PFAS sono in grado di accumularsi negli organismi animali e vegetali, anche se la persistenza dei PFAS a catena corta è minore rispetto a quella dei composti a catena lunga.
Come si può essere esposti ai PFAS
La principale fonte di esposizione per la popolazione è l’ingestione di acqua potabile e di cibi contaminati. Si può anche essere esposti attraverso il contatto con superfici o suoli contaminati e l’inalazione di polveri contenenti PFAS, sebbene la via inalatoria sia generalmente rilevante per i soggetti esposti professionalmente (esempio i lavoratori dei siti produttivi).
In che modo entrano nell’organismo e come vengono eliminati
I PFAS sono assorbiti rapidamente ed efficientemente in seguito ad ingestione ed inalazione: poiché si legano alle proteine del plasma e non sono metabolizzati dall’organismo, si accumulano e si ritrovano nel plasma, nel fegato e in minor misura nel rene. Sono eliminati dai reni, ma nella specie umana l’eliminazione è molto lenta, perché una volta filtrati nelle urine subiscono un processo di riassorbimento che li riporta in circolo. Il riassorbimento è dovuto all’attività di trasportatori (che normalmente lavorano per recuperare molecole “utili” all’organismo), che sono sotto il controllo ormonale. Il tempo di dimezzamento (o emivita), vale a dire il tempo necessario perché i livelli nel sangue si riducano a metà (se non si è più esposti) nell’uomo è in media di 5,4 anni per il PFOS e di 3,8 anni per il PFOA, con differenze di genere: nei maschi i tempi di dimezzamento sono più lunghi che nelle femmine. Valori molto minori sono stati descritti per PFBS (30 giorni) e per PFBA (3 giorni).
Quali sono i possibili effetti sulla salute
Le attuali conoscenze concernenti gli effetti dei PFAS sulla salute derivano da studi condotti su animali e da indagini epidemiologiche su lavoratori dei siti produttivi di PFAS e popolazioni esposte.
Gli studi sperimentali sull’animale (prevalentemente topo o ratto) indicano che queste sostanze possono provocare alterazioni a livello del fegato, della tiroide, del sistema immunitario, del sistema riproduttivo e dello sviluppo fetale, e alcuni tipi di neoplasie. Pur essendo disponibili numerosi studi su diverse specie animali (in cui il fegato è il principale bersaglio della tossicità), l’associazione di tali conclusioni all’uomo è particolarmente difficile per le significative differenze nella permanenza di tali sostanze all’interno dell’organismo (molto inferiore nei roditori) e nel modo in cui queste provocano tossicità (alcuni meccanismi legati alla tossicità dei PFAS negli animali non sono rilevanti per la specie umana).
Le principali ricerche sull’uomo sono state condotte negli Stati Uniti, nell’ambito del cosiddetto C8 Health Project, che ha riguardato circa 70.000 persone esposte a PFAS tramite l’acqua potabile in Ohio e in West Virginia a partire dagli anni ’50. Nel 2012 i ricercatori (C8 Science Panel) hanno concluso, sulla base dei propri risultati, di altri studi presenti nella letteratura scientifica e della revisione dei dati tossicologici, che esiste una probabile associazione tra esposizione a PFOA e ipercolesterolemia, ipertensione in gravidanza e pre-eclampsia, malattie della tiroide e alterazioni degli ormoni tiroidei, colite ulcerosa, tumore del rene e tumore del testicolo. Altri studi hanno mostrato alterazioni di livelli di glucosio, un aumento dei livelli di acido urico e dell’enzima epatico ALT nel sangue e una moderata riduzione del peso medio alla nascita. In base agli studi finora disponibili non è stato, tuttavia, ancora possibile stabilire relazioni causa-effetto né dose-risposta, e dunque ottenere informazioni certe sulle possibili relazioni tra i livelli di PFOA e PFOS nel sangue e potenziali effetti sulla salute.
Un rapporto del Sistema Epidemiologico Regionale (SER) della Regione Veneto del 2016 ha evidenziato anche nei 21 comuni maggiormente esposti a PFAS un moderato aumento, rispetto al dato medio regionale, della prevalenza di patologie cardiovascolari e della mortalità per le medesime cause, peraltro ascrivibile a ben noti fattori di rischio cardiovascolare. Tali risultati si basano, infatti, su studi geografici che non permettono di correlare direttamente il dato rilevato a cause specifiche, quali ad esempio l’esposizione a PFAS, ma che hanno lo scopo di fornire elementi utili per ulteriori approfondimenti, attualmente in corso con lo studio di biomonitoraggio sulla popolazione, descritto più avanti. Sebbene le patologie sopra elencate non siano direttamente correlate ai PFAS e siano attribuibili frequentemente agli scorretti stili di vita, l’esposizione ai PFAS può essere considerata il “quinto” fattore di rischio per le malattie croniche non trasmissibili, oltre ai quattro fattori di rischio noti: fumo, sedentarietà, dieta scorretta e abuso di alcol.
Il legame tra l’esposizione a PFOA e PFOS e il tumore nell’uomo non è stato dimostrato, nonostante alcuni studi abbiano suggerito una probabile correlazione in soggetti esposti a dosi molto alte (es. i lavoratori dei siti produttivi) con tumori testicolari e renali. Tra le Agenzie Internazionali, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato PFOA come “possibilmente associato” (gruppo 2b) ai tumori del rene e del testicolo.
Da un’analisi condotta nell’ottobre 2016 dal Sistema Epidemiologico Regionale (SER) e dal Registro Tumori del Veneto, nei 21 Comuni maggiormente esposti a PFAS non sono risultate differenze significative nei tassi di incidenza di tumori maligni nell’anno 2013, rispetto alla media regionale. Si rendono necessari ulteriori studi e ricerche.
Misure adottate per la riduzione del rischio
L’Istituto Superiore di Sanità, nel primo parere del 7.06.2013, ha rassicurato sulla mancanza di un rischio immediato per la popolazione esposta a PFAS, ma a scopo cautelativo ha consigliato l’adozione di misure di trattamento delle acque potabili per l’abbattimento di queste sostanze, e di prevenzione e controllo della filiera delle acque destinate al consumo umano nei territori interessati. Pertanto, sotto la guida della Regione e in coordinamento con ARPAV, Aziende ULSS, Comuni ed Enti Gestori dei Servizi Idrici Integrati, è stata messa in atto una serie di iniziative per abbattere e tenere sotto controllo le concentrazioni dei PFAS nelle acque destinate al consumo umano. Tra i provvedimenti presi vi è stata l’apposizione di filtri a carboni attivi per ridurre l’esposizione a tali sostanze, garantendo la qualità e la potabilità dell’acqua in distribuzione.
Inoltre, la Regione Veneto, dal 2013 ha approvato numerosi provvedimenti per implementare azioni volte principalmente a: individuare l’area di contaminazione e la principale fonte responsabile; mettere in sicurezza la distribuzione dell’acqua potabile e avviare la mappatura e il controllo dei pozzi privati; avviare un piano di monitoraggio degli alimenti; prendere in carico la popolazione esposta per prevenire le malattie croniche associate ai quattro principali fattori di rischio (fumo, sedentarietà, sovrappeso e alcol) e al quinto fattore di rischio (PFAS), attivando la sorveglianza sanitaria di primo e secondo livello.
Piano di monitoraggio degli alimenti
L’acqua è la fonte principale di esposizione a PFAS per i residenti in aree in cui le acque potabili sono contaminate. Anche gli alimenti, però, possono contribuire all’apporto di PFAS, in particolare per il PFOS che ha una capacità di bioaccumulo negli organismi viventi più elevata. Per verificare la presenza di PFAS negli alimenti e quindi poter stimare il contributo della dieta all’esposizione complessiva a PFAS, l’Istituto Superiore di Sanità, in accordo con la Regione del Veneto, ha pianificato un monitoraggio degli alimenti di produzione locale nella cosiddetta “area rossa” (DGR 2133/2016). Un primo monitoraggio effettuato nel 2014-2015 aveva rilevato la presenza di PFAS in alcuni alimenti (in particolare, in pesci di cattura e in uova di allevamenti familiari), ma non permetteva di trarre conclusioni significative. Nel corso del nuovo monitoraggio, condotto tra la fine del 2016 e il 2017, sono stati prelevati oltre 1200 campioni, di cui circa 600 di alimenti di origine vegetale (mele, pere, altra frutta, uva da vino, patate, radicchio, lattuga, pomodoro, asparago, cipolla, altre verdure, mais), e circa 600 di alimenti di origine animale (muscolo e fegato di suini, bovini, avicoli, latte, uova e pesci di acqua dolce). In base ai risultati valutati dall’Istituto Superiore di Sanità (parere n. 35837 del 28.11.2017), gli alimenti di origine vegetale sono risultati esenti da contaminazione rilevabile da PFOS e PFOA, ad eccezione di alcuni campioni di mais, i cui livelli di PFOA erano in ogni caso estremamente bassi. Riguardo gli alimenti di origine animale, il latte, il muscolo bovino e quello avicolo hanno mostrato per PFOS e PFOA contaminazioni trascurabili, mentre il fegato, in particolare quello suino, e le uova di produzione familiare hanno mostrato, in una percentuale significativa di campioni, livelli variabili di contaminazione per PFOS e PFOA. Il contributo di tali alimenti in termini di esposizione ai contaminanti è tuttavia ridotto anche nello scenario cautelativo adottato. Anche in alcuni campioni di muscolo suino è stata rilevata presenza dei contaminanti; i bassi valori riscontrati fanno comunque stimare come estremamente ridotto il contributo di tale alimento all’esposizione della popolazione a PFAS. I livelli di contaminazione riscontrati nelle specie ittiche di cattura hanno invece suggerito l’opportunità di individuare misure di carattere precauzionale.
Complessivamente, quindi, la stima prodotta dall’Istituto Superiore di Sanità sul contributo dei singoli alimenti all’esposizione a PFOS e PFOA, in rapporto alle attuali dosi tollerabili giornaliere stabilite dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), non ha evidenziato criticità sotto il profilo della sicurezza alimentare. Tale stima sarà perfezionata quando i dati sui consumi alimentari locali, raccolti nel contesto del piano di sorveglianza della popolazione esposta attualmente in corso, saranno disponibili. La pubblicazione del nuovo parere dell’EFSA su PFOA e PFOS per la valutazione del rischio nella catena alimentare potrà portare alla rivalutazione dell’attuale stima in relazione a modifiche degli attuali parametri di riferimento. Sulla base dei risultati della ricerca, il Presidente della Regione del Veneto ha emesso un’ordinanza con la quale viene vietato il consumo di pesce pescato nelle acque superficiali in tutti i 21 Comuni della cosiddetta “zona rossa”. Il divieto è in vigore per un anno dal 10 novembre 2017. Il divieto di consumo di pesce pescato nei territori dell’area rossa, di cui alla DGR 691/2018, è stato prorogato fino al 30 giugno 2019.
Studio esplorativo di biomonitoraggio nella popolazione esposta
Tra luglio 2015 e aprile 2016, con il coordinamento dell’Istituto Superiore di Sanità, è stato condotto uno studio esplorativo di biomonitoraggio, per valutare le concentrazioni di PFAS nel sangue di un campione di persone residenti in alcune aree soggette all’inquinamento e confrontarle con quelle di un campione di controllo, non esposto a PFAS attraverso l’acqua potabile. In totale sono stati coinvolti più di 500 soggetti, di età compresa tra i 20 e i 50 anni, residenti in 14 Comuni della Regione Veneto: si tratta di sette comuni scelti tra quelli a maggiore esposizione lungo gli assi di diffusione del cosiddetto “plume” di inquinamento (Montecchio Maggiore, Brendola, Sarego, Lonigo, Altavilla, Creazzo, Sovizzo) e di sette comuni di controllo dislocati nella pianura Veneta (Dueville, Resana, Treviso, Carmignano di Brenta, Fontaniva, Loreggia, Mozzecane). Lo studio ha rilevato concentrazioni di PFOA significativamente più elevate nel sangue delle persone residenti nelle zone interessate dalla contaminazione rispetto al gruppo di controllo.
La seconda parte dello studio, relativa a circa 120 operatori e residenti di aziende agro-zootecniche localizzate nell’area contaminata, ha mostrato che gli allevatori presentavano valori sierici di PFAS in media più elevati non solo rispetto ai “non esposti” (gruppo di controllo), ma anche rispetto agli “esposti” del campione della popolazione generale.
Per monitorare lo stato di salute e le concentrazioni di PFAS nel sangue ad almeno 24 mesi di distanza dalla prima rilevazione, nel 2018 tutti i soggetti che hanno partecipato allo studio esplorativo di biomonitoraggio sono invitati a ripetere il controllo delle sostanze PFAS e ad effettuare tutti gli esami previsti dal Piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a PFAS approvato con DGR 2133/2016.
Piano di sorveglianza sulla popolazione esposta a PFAS
In seguito all’esito dei risultati prodotti dalle analisi sierologiche condotte sulla popolazione nell’ambito dello studio esplorativo di biomonitoraggio, realizzato in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità, la Regione del Veneto ha avviato nel 2016 un Piano di sorveglianza sulla popolazione esposta alle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS).
Il Piano, approvato con la DGR n. 2133/2016 ed integrato con la DGR n. 691/2018, ha come obiettivo l’identificazione di malattie croniche degenerative dovute all’esposizione alle sostanze perfluoroalchiliche e agli scorretti stili di vita, attraverso la presa in carico della popolazione, e si basa sulla considerazione che la popolazione esposta ai PFAS possa presentare un maggior rischio di incorrere in malattie croniche determinate non solo dai quattro principali fattori di rischio (fumo, abuso di alcol, sedentarietà, dieta scorretta), ma anche dall’esposizione a queste sostanze, che si configurano, pertanto, come il “quinto” fattore di rischio.
All’interno del Piano è stata definita la graduazione delle aree in: area rossa, area arancione, area gialla e area verde. Sulla base delle concentrazioni di PFAS nelle acque di acquedotto nel 2013 (precedentemente all’applicazione dei filtri), dei livelli di PFAS nelle acque superficiali e sotterranee, e dei risultati dello studio esplorativo di biomonitoraggio condotto, la Regione ha individuato l’area di massima esposizione sanitaria a PFAS (la cosiddetta “area rossa”) che comprende complessivamente 30 Comuni (alcuni coinvolti solo parzialmente).
In tale area è stato possibile differenziare un’area rossa “A” dove è maggiore la concentrazione di PFAS in tutta la matrice acqua (oltre che nell’acqua potabile, anche nelle acque superficiali e sotterranee), e un’area rossa “B” dove la contaminazione delle acque superficiali e sotterranee è minore.
L’area rossa A comprende i seguenti comuni: Alonte (VI), Asigliano Veneto (VI), Brendola (VI), Lonigo (VI), Sarego (VI), Noventa Vicentina (VI), Orgiano (VI), Pojana Maggiore (VI), Montagnana (PD), Cologna Veneta (VR), Pressana (VR), Roveredo di Guà (VR), Zimella (VR).
L’area rossa B comprende: Albaredo d’Adige (VR), Arcole (VR), Bevilacqua (VR), Bonavigo (VR), Boschi Sant’Anna (VR), Legnago (VR), Minerbe (VR), Terrazzo (VR), Veronella (VR), Urbana (PD) e parti dei comuni di Agugliaro (VI), Borgo Veneto (PD), Casale di Scodosia (PD), Lozzo Atestino (PD), Megliadino San Vitale (PD), Merlara (PD), Val Liona (VI).
Il Piano è stato esteso alle tre Aziende ULSS coinvolte: ULSS 6 Euganea, ULSS 8 Berica e ULSS 9 Scaligera, ed ha inizialmente interessato circa 85.000 persone di età compresa tra 14 e 65 anni (nate tra il 1951 e il 2002).
A partire dal 2018 la sorveglianza è stata estesa anche ai nati tra il 2003 e il 2014: sono, pertanto, invitati ogni anno anche gli adolescenti di 15 anni di età (dai nati nel 2003) ed è, inoltre, previsto uno specifico coinvolgimento per il 2018 dei bambini di 9 e 10 anni (nati nel 2009-2008) e, successivamente, per ogni anno dei bambini di nove anni, fino ad arrivare ai nati nel 2014. (DGR 691/2018)
Oltre ai residenti nei Comuni dell’area rossa, inizialmente potevano partecipare alla sorveglianza coloro che avessero risieduto o fossero stati domiciliati in uno dei comuni dell’area rossa nei cinque anni antecedenti l’avvio del Piano. Da marzo 2019, su indicazione regionale, possono partecipare alla sorveglianza anche coloro che abbiano risieduto o siano stati domiciliati in uno dei comuni dell’area rossa nei cinque anni precedenti il 2013, anno di posizionamento dei filtri a carbone attivo negli impianti idrici (e non più nei conque anni antecedenti l’avvio del Piano, ovvero il 2016).
La Regione si è dotata di un Sistema Informativo Regionale Screening PFAS con cui ottimizzare tutto il processo dell’indagine, dagli inviti alla registrazione dei referti agli invii dei risultati e all’elaborazione degli indicatori di salute più rappresentativi.
La fase operativa iniziale è stata coordinata dall’ULSS 8 Berica; da giugno 2018 l’ULSS 9 Scaligera si è resa indipendente riguardo tutti gli aspetti organizzativi. La chiamata avviene in modo attivo, tramite lettera di invito e con periodicità biennale.
I soggetti esposti residenti nei comuni maggiormente interessati (area rossa) nel territorio dell’ULSS 8 Berica e dell’ULSS 6 Euganea accedono alle strutture dell’ULSS 8 Berica, mentre le persone interessate dalla contaminazione da PFAS residenti nei comuni dell’area rossa nel territorio dell’ULSS 9 Scaligera afferiscono alle strutture della propria ULSS di appartenenza.
Il protocollo di sorveglianza, che è completamente gratuita, si articola in uno screening di Primo livello ed una presa in carico di Secondo livello, se indicata.
L’inizio della convocazione della popolazione tramite invito a partecipare allo screening di Primo livello, che è partita con i più giovani (14enni) e procede secondo un ordine di età anagrafica crescente, è avvenuto a dicembre 2016 nell’ULSS 8 Berica e a maggio 2017 nell’ULSS 9 Scaligera, ad esclusione dei soggetti nati dal 2003 in poi per i quali è prevista una chiamata di 2-3 coorti all’anno a partire dal 2018.
La scelta di iniziare con i più giovani è stata dettata dal fatto che l’eventuale alta concentrazione di PFAS e/o di rilevanti alterazioni metaboliche in tali soggetti avrebbe potuto rappresentare motivo utile per approfondimenti in termini di coorti interessate e di correlazione sanitaria all’esposizione alle sostanze in oggetto, in quanto gli scorretti stili di vita risultano meno associati ai soggetti appartenenti alle coorti più giovani (14-15enni).
Il secondo livello ha avuto inizio a dicembre 2017 nell’ULSS 8 Berica e a luglio 2018 nell’ULSS 9 Scaligera.
Lo screening di Primo livello prevede:
- alcuni semplici esami del sangue e delle urine per valutare lo stato di salute di fegato, reni, tiroide e l’eventuale presenza di alterazioni del metabolismo dei grassi e degli zuccheri;
- il dosaggio di dodici sostanze PFAS nel siero;
- la misurazione della pressione arteriosa;
- un’intervista per individuare abitudini di vita non salutari e informazioni e consigli su come proteggere la propria salute.
Se dai risultati dello screening di Primo livello emerge che:
- tutti gli esami sono nella norma, il soggetto sarà richiamato per un successivo screening dopo circa 24 mesi;
- i PFAS sono nella norma mentre i restanti esami bioumorali e pressori sono alterati, il soggetto viene inviato dal proprio Medico curante per le opportune valutazioni e sarà in ogni caso richiamato per un successivo screening dopo circa 24 mesi;
- i PFAS sono alterati mentre i restanti esami bioumorali e pressori sono nella norma, la situazione continuerà ad essere monitorata e il soggetto sarà richiamato per un successivo screening dopo circa 24 mesi. Se in questo intervallo di tempo riscontrasse qualche problema di salute è invitato a contattare tempestivamente l’ambulatorio PFAS;
- sia i PFAS sia gli esami del sangue e/o delle urine e/o della pressione sono alterati il soggetto a partire dai 14 anni di età è preso in carico presso l’ambulatorio cardiologico e/o internistico di Secondo livello per completare il percorso attraverso una visita medica di approfondimento ed eventuali ulteriori accertamenti, in esenzione.
Le visite di Secondo livello sono offerte gratuitamente per la diagnosi tempestiva di eventuali patologie croniche possibilmente correlate all’esposizione a PFAS e per consentire l’esecuzione di studi epidemiologici (DGR n. 851/2017).
Negli ambulatori di Secondo livello dell’ULSS 8 Berica, oltre all’acquisizione di attrezzature quali un’ecografo ed un elettrocardiografo di ultima generazione, è stato predisposto un software dedicato per la gestione delle visite ambulatoriali, collegato sia con la rete informatica aziendale sia con il sistema informativo regionale.
I bambini di età inferiore ai 14 anni, nel caso di riscontro di alterazioni sia dei PFAS sia degli altri esami bioumorali e/o pressori, saranno presi in carico dai propri Pediatri di Libera Scelta (DGR n. 691/2018) e inviati agli ambulatori di Secondo Livello dedicati (cardiologico ed endocrinologico pediatrico) per gli eventuali approfondimenti diagnostici ritenuti necessari.
I dati sui risultati del piano di sorveglianza sanitaria sulla popolazione esposta a PFAS sono periodicamente resi pubblici dalla Regione con la stesura di un rapporto sintetico consultabile sul sito internet della Regione.
Approfondimento sulle patologie tiroidee
L’Area Sanità e Sociale della Regione Veneto con nota prot. n. 514405 class. C. 101 del 18.12.2018 “Sorveglianza sanitaria della popolazione esposta a sostanze perfluoroalchiliche – Approfondimenti sulle patologie tiroidee” ha ritenuto opportuno offrire un approfondimento sulle patologie tiroidee per le donne residenti nei Comuni dell’Area rossa A (come definita dalla DGR n. 691/2018), appartenenti alle coorti di nascita 1989-1998, che, in seguito agli esami di primo livello, presentino concentrazioni sieriche di PFOA e/o PFOS superiori al valore di riferimento.
In dettaglio i Comuni interessati sono: Alonte (VI), Asigliano Veneto (VI), Brendola (VI), Lonigo (VI), Noventa Vicentina (VI), Orgiano (VI), Pojana Maggiore (VI), Sarego (VI), Cologna Veneta (VR), Pressana (VR), Roveredo di Guà (VR), Zimella (VR) e Montagnana (PD).
Pertanto, a completamento degli accertamenti eseguiti nell’ambito della Sorveglianza sanitaria, a partire da marzo 2019 le donne target di questo approfondimento sono invitate ad effettuare un’ecografia tiroidea al fine di identificare eventuali patologie tiroidee, presso gli ambulatori PFAS dell’Azienda ULSS 8 Berica. L’esame è gratuito e, in base all’esito, sono proposti gli eventuali ulteriori provvedimenti diagnostici e terapeutici ritenuti necessari.
FAQ
Posso eseguire il prelievo di sangue per il dosaggio dei PFAS anche se non sono residente nell’area di massima esposizione?
Solo le persone residenti o domiciliate nell’area di massima esposizione (area rossa) rientrano nel piano di sorveglianza sanitaria promosso dalla Regione del Veneto, e sono pertanto invitate ad eseguire un prelievo di sangue per il dosaggio dei PFAS. Il prelievo è effettuato presso l’Azienda Ulss, mentre l’analisi sul campione di sangue è eseguita dal laboratorio ARPAV.
L’Azienda ULSS 8 Berica effettua il prelievo di sangue per il dosaggio dei PFAS a pagamento in seguito a prescrizione da parte del proprio Medico di Medicina Generale?
Al momento il prelievo è effettuato gratuitamente e solo nell’ambito del piano di sorveglianza sanitaria.
Mi sono trasferito al di fuori da un comune dell’area rossa. Posso eseguire comunque gli esami per il dosaggio dei PFAS?
Possono rientrare nel Piano di sorveglianza anche coloro che hanno risieduto nei Comuni dell’area rossa nei 5 anni precedenti il 2013, anno di posizionamento dei filtri a carbone attivo negli impianti idrici. Occorre fare richiesta all’indirizzo mail informazionipfas@aulss8.veneto.it allegando l’autocertificazione di residenza storica compilata e firmata (allegato presente in fondo alla pagina) e copia di un documento di identità in corso di validità.
Collegamenti utili
- Regione del Veneto – PFAS: http://www.regione.veneto.it/web/sanita/pfas
- Regione del Veneto – Acque destinate al consumo umano: https://www.regione.veneto.it/web/sanita/tutela-acque-destinate-al-consumo-umano
- ARPAV – PFAS: http://www.arpa.veneto.it/temi-ambientali/acqua/file-e-allegati/documenti/acque-interne/pfas
- ARPAV – Analisi PFAS: http://www.analisipfas.it/